(ANSA) – MILANO, 2 FEB – In Italia la cosiddetta “Economia del mare” è un mondo complesso che coinvolge porti, armatori, imprese di trasporti, infrastrutture (stradali e ferroviarie), logistica. Ma tutti sono concordi nel ritenere che l’Italia ha un potenziale vantaggio rispetto al resto dei suoi competitor: è – geograficamente – la naturale “porta d’ingresso” per le merci che puntano sul Mediterraneo per entrare in Europa. E’ “un vantaggio geografico enorme” che andrebbe sfruttato meglio, e per questo sarebbe opportuno creare un Ministero del Mare.

E’ quanto emerso oggi a Milano ad un convegno in Assolombarda che per due giorni vede riuniti i rappresentanti di tutte le principali realtà del settore: enti pubblici (dal Ministero alle Autorità Portuali), associazioni di categoria, industria privata. Il mondo della cosiddetta “economia del mare” (logistica, trasporti, portualità) “da atto” al Governo, e in particolare al ministro Graziano Delrio, che dopo anni di stallo “negli ultimi 24 mesi qualcosa si è messo in moto” per quanto riguarda portualità e logistica. Ma non basta, si può e si deve fare di più, perché l’Italia ha tutto da guadagnare a dotarsi di infrastrutture portuali, autostradali e ferroviarie efficienti.

“La sola logistica – ha rilevato Assolombarda – costa al sistema 13 miliardi di euro l’anno”. Per questo l’incontro “Shipping, Forwarding&Logistics meet Industry”, organizzato dall’ associazione International Propeller Clubs, Federazione del Mare, Assologistica e altri punta a mettere a confronto Logistica e Shipping con l’Industria. “E’ incontro decisivo – ha sottolineato il presidente nazionale dei Propeller Clubs, Umberto Masucci -. Tutti dobbiamo dare atto che il ministro Delrio ha cambiato una situazione che si era fatta stagnante. La nostra portualità è cambiata. Ora bisogna passare alla fase dell’implementazione. Per l’industria italiana quello della portualità può essere il tema vincente”.

La riforma dei porti varata dal Governo Renzi e che il Governo Gentiloni sta portando avanti consente di aprire per l’Italia quella che è stata definita una “fase intermodale” non solo nuova, ma fondamentale per la competitività dell’intero sistema. Lo ha riconosciuto anche Paolo D’Amico, presidente della Federazione del Mare, l’organizzazione che raggruppa i diversi comparti del cluster marittimo italiano. “In Italia – ha ricordato D’Amico – siamo passati da 6 a 10 miliardi di tonnellate di merce all’anno via mare. I nostri porti registrano 4.600 ‘toccate’ di navi da crociera. E in Italia, siamo campioni nei trasporti ro-ro passenger ship (traghetti), campioni nel trasporti di prodotti chimici, campioni nel trasporto dei beni alimentari, campioni nelle crociere”. Per tutto questo secondo d’Amico lo Stato, “che pure si sta muovendo nella giusta direzione”, dovrebbe dotare il sistema di “Ministero del Mare vero e proprio. Altrimenti tra Infrastrutture, Lavori Pubblici e Pubblica Amministrazione si fa confusione”. Le attività marittime producono ogni anno beni e servizi per un valore pari a 33 miliardi di euro (2% del pil), di cui 6,2 miliardi esportati, fornendo occupazione a 500 mila persone.

“Guai se passasse l’idea di Trump secondo cui il protezionismo è un bene. Per l’Italia, che vede nelle sue merci uno dei suoi elementi di ricchezza, sarebbe un disastro” ha concluso D’Amico.