È invece sul piano occupazionale che i due comparti hanno risentito di dinamiche per più ampi tratti in linea con quelle del mercato del lavoro italiano, perdendo parte di quello slancio che invece ne ha caratterizzato le performance economiche. Ma è questo un effetto da ricondurre sostanzialmente alla riorganizzazione affrontata dal settore, e che ha comportato anche una tendenziale concentrazione delle aziende agricole che per affrontare meglio i mercati globali, le nuove tendenze produttive, soprattutto, la crescente domanda mondiale di cibo, sempre più fanno ricorso alla scienza e alla tecnologia, alla meccanizzazione delle attività agricole riducendo contemporaneamente la richiesta di manodopera. L’occupazione, in effetti, è calata in maniera più considerevole nel comparto agricolo (fatto 100 il livello di occupati nel 2008, nel 2014 è sceso a 94,2) – un processo per molti versi inevitabile – mentre ha tenuto meglio nell’industria alimentare e della trasformazione (96,6), nella quale il calo di occupati si mantiene in linea con quello dell’economia italiana (96), pur avendo colto performance economiche decisamente migliori. Ad ogni modo, gli oltre 1,35 milioni di addetti che i due comparti assorbono – di cui una buona fetta (oltre 900 mila unità) riconducibile al settore agricolo e della pesca – seppure appaiano in calo del 5% rispetto al 2008, rappresentano una quota di occupati che si mantiene stabile nel tempo e ben superiore alla soglia del 5%. L’output del sistema agroalimentare italiano, cui universalmente è riconosciuto un potenziale ancora non del tutto espresso, oltre a saperi e saper fare, tecniche, tradizioni e passione, si sostanzia in prodotti agricoli e alimentari cui il mercato riconosce un fortissimo appeal, peraltro legato a doppio filo alla cultura italiana. Tuttavia, dall’analisi dei principali prodotti alimentari italiani venduti si può concludere che oltre al made in Italy classico, tendenzialmente di alta gamma e consistente nei prodotti più conosciuti al mondo e che trovano posto quotidianamente sulle nostre tavole(olio, pasta, pane, prodotti da forno e pasticceria, vino, gelati, confetteria e latte), vi è una fetta altrettanto importante di prodotti che comunemente sfuggono alla nostra considerazione, ma che impattano in maniera forse anche più rilevante sul valore effettivo del mercato agroalimentare, specie in termini di quantità vendute. Dei 58,5 milioni di tonnellate e 699,2milioni di litri di prodotti alimentari venduti, e oltre 23,5 miliardi di litri di bevande, infatti, i mangimi e i prodotti della lavorazione delle granaglie (farine, cereali, riso e frumento), ma anche le bibite analcoliche e le acque minerali occupano stabilmente le prime posizioni nella classifica dei prodotti maggiormente venduti, generando a loro volta nella filiera della logistica e della distribuzione volumi di attività e valori economici tutt’altro che trascurabili. Guardando nel dettaglio, nel 2013 sono stati immessi nel mercato quasi 14,1 milioni di tonnellate di mangimi destinati agli allevamenti, cui si aggiungono circa 11,7 milioni di tonnellate di prodotti derivanti dalla lavorazione di granaglie. Un complesso di merci che messe insieme raccolgono oltre il 44% del totale degli alimenti venduti, per quasi 10,5 miliardi di fatturato, ma che in tanti casi sfuggono all’attenzione perché non rientrano tra i prodotti di alta gamma del made in Italy o sono a minore valore aggiunto rispetto a questi ultimi, pur rappresentando, a conti fatti, lo zoccolo duro delle produzioni trasportate e immesse sul mercato. Anche le carni conservate e lavorate e gli altri prodotti a base di carne, che rappresentano un universo di circa 7,4 milioni di tonnellate di prodotti con specifiche esigenze di trasporto e conservazione, rappresentano una quota vitale del nostro comparto agroalimentare. Ad esse, infine, si aggiungono sul versante delle bevande, le bibite in bottiglia e le acque minerali, un mercato talmente ampio da superare tutte le altre voci della categoria (oltre 17,5 miliardi di litri venduti, pari a quasi i tre quarti del totale delle bevande), e che frutta quasi 3 miliardi di fatturato. Non è dunque soltanto l’alta qualità italiana, i prodotti più conosciuti e diffusi, il famoso made in Italy tanto decantato e apprezzato all’estero, da prendere in considerazione quando si pesa il ruolo del sistema agroalimentare italiano. Anche altre produzioni offrono un contributo fondamentale, non soltanto in termini di qualità, ma anche di soddisfazione del fabbisogno di alimentazione, di produzione di reddito, di equilibri di filiera e di alimentazione animale. Il ruolo dell’Italia va dunque rilevato non soltanto in termini di qualità, ma anche di supporto per un’alimentazione sicura, sana, sufficiente e rispettosa dell’ambiente, alla stregua di quanto sancito da Expo 2015.