I vettori del cibo, tra specializzazione merceologica dei trasporti e concorrenza “modale” Per la rilevanza che rivestono per la nostra economia i prodotti agricoli e alimentari, naturalmente vocati a collocarsi sui mercati internazionali, e dai quali discende una peculiare quanto consistente domanda di trasporto, è importante analizzare il contributo che il trasporto marittimo fornisce alla movimentazione dei prodotti agroalimentari e il ruolo che il mare gioca nel collegare i luoghi della produzione con le destinazioni in cui avverranno il consumo o la lavorazione successiva. Il mare, del resto, ha sempre rappresentato uno spazio di riferimento privilegiato per gli approvvigionamenti alimentari: già nel passato,per le maggiori capacità di carico delle navi, e la relativa rapidità nei collegamenti, oltreché per la sicurezza, era preferito rispetto ai traffici su strada. E lo stesso avviene al giorno d’oggi, quando con l’ingresso di nuovi e lontani player nel consesso dei Paesi che producono e consumano, lo spostamento del baricentro mondiale dall’Europa verso l’Asia, e i crescenti flussi di merce scambiata a livello globale, si è affermata l’esigenza di poter contare stabilmente su nuove rotte a lungo raggio e, aspetto questo tutt’altro che secondario, in maniera quanto più possibile economica, compatibilmente con le necessarie esigenze di sicurezza. Posta in questi termini, la competitività dei trasporti via mare è del tutto evidente. E potenzialmente lo è ancora di più se si prendono in considerazione i traffici che coinvolgono l’Italia in quanto meta di destinazione o luogo d’origine dei flussi di merci. Il nostro, infatti, è un Paese che per collocazione geopolitica e morfologia del territorio non può non occupare una posizione privilegiata rispetto ai traffici che via mare seguono le rotte Nord-Sud ed Est-Ovest del mondo. Basti pensare alla strategicità dell’Italia rispetto: – al canale di Suez per i collegamenti con l’Asia; – al bacino del Mediterraneo, con i Paesi in via di sviluppo del Nord Africa e del Medio Oriente che vi si affacciano; – allo stretto di Gibilterra per le rotte verso l’America e il Nord Europa; al bacino dell’Europa meridionale e l’area balcanica, con i quali le relazioni commerciali sono assai strette. Senza peraltro trascurare, in questo scenario, il ruolo crescente che la navigazione di cabotaggio può rappresentare per i flussi di derrate alimentari, e non soltanto nell’ottica degli approvvigionamenti alimentari diretti verso le tante isole italiane, verso le quali, spesso, quella via mare resta la via di rifornimento privilegiata, quando non esclusiva. Il cabotaggio nazionale, infatti, e pure in assenza di meccanismi di incentivazione, può rivelarsi più efficiente – sotto tutti i profili – rispetto alle altre modalità di trasporto, ed in particolare per i collegamenti Nord-Sud che avvengono all’interno dello stesso bacino di mare: ad esempio nei collegamenti tra località che affacciano sul Tirreno (tra Alto Tirreno e Basso Tirreno) e sull’Adriatico-Ionio (tra Alto Adriatico e Basso Adriatico, ma anche tra Alto Adriatico e Ionio). A fronte delle potenzialità enucleate, molte delle quali possono essere assunte come sfida degli armatori per gli anni a venire, il trasporto via mare di prodotti agricoli e alimentari attraverso i porti italiani ammonta nel 2013 a 26,2 milioni di tonnellate, corrispondenti a circa il 7% del totale delle merci movimentate per via marittima. Tale dato, tuttavia, non rende a pieno l’effettivo valore che il mare rappresenta per il trasporto di derrate alimentari, per due ordini di ragioni. In primo luogo, come già indicato, perché l’unità di misura considerata – la tonnellata – tende a sottovalutare il peso del trasporto marittimo. Più indicata sarebbe la tonnellata-chilometro, che oltre a limitare le distorsioni della misurazione in tonnellata (ad esempio, nei trasporti intermodali, le merci che su TIR raggiungono i porti, e successivamente dal porto di attracco arrivano a destinazione sempre su TIR,sono conteggiate due volte nelle statistiche, a differenza del trasporto marittimo), “misura” anche le maggiori distanze mediamente percorse nel trasporto marittimo. Tuttavia, non essendo disponibile la grandezza in tonnellate-chilometro con il dettaglio della merce trasportata, non vi è altra scelta se non quella di considerare la tonnellata come unità di misura. In secondo luogo, le navi sono il mezzo attraverso il quale si trasportano di norma il greggio, i prodotti petroliferi raffinati e il gas, e considerando il livello degli approvvigionamenti italiani dall’estero, si rischierebbe di avere un quadro distorto della realtà, fortemente ridimensionato per quanto concerne l’agroalimentare, se si includessero nel computo anche i trasporti di fonti energetiche.  Se, infatti, si può affermare come vi sia una vera e propria specializzazione dei trasporti marittimi nella movimentazione di prodotti petroliferi e materie prime in generale (pesano per ben il 46,5% sul totale delle merci trasportate via mare, rispetto al 5,5% del trasporto stradale e del 2,5% di quello ferroviario), si può individuare una vocazione altrettanto solida degli armatori per il trasporto di derrate alimentari. Al netto del trasporto di greggio e gas, infatti, i prodotti dell’agroalimentare rappresentano ben il 13,1% dei volumi di merci in navigazione, a fronte del 18,7% di quelle che si muovono su strada, che dunque non appaiono così distanti, e di appena il 7,7% su ferro